domenica 14 settembre 2008

No, più “papisti” del Papa, proprio no

Il Presidente della provincia di Genova, Alessandro Repetto, esponente cattolico del Partito Democratico, ha giudicato «una manifestazione provocatoria» il Gay Pride nazionale che si terrà a Genova il 13 giugno 2009. Altri esponenti cattolici del Partito Democratico hanno stigmatizzato la concomitanza della manifestazione dell’orgoglio omosessuale con la ricorrenza religiosa del Corpus Domini, auspicando pertanto almeno uno spostamento della data del Gay Pride. Il capogruppo di Alleanza Nazionale nel Consiglio Regionale della Liguria, Gianni Plinio, ha invocato l’intervento del sindaco di Genova, Marta Vincenzi: «Vieti questa oscena carnevalata d’insulti!».
A fronte di questo coro appassionato, si è registrata però la posizione del Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ha dichiarato: «Il Gay Pride si è già svolto a Roma anche nell'anno del Giubileo e non sono contrario alle manifestazioni del pensiero quando avvengono con modalità corrette senza recare offesa».
I politici cattolici hanno insomma da riflettere e da imparare molto da questo episodio, che può rappresentare un esempio applicativo dell’esortazione recentemente rivolta dal Santo Padre per una nuova classe dirigente politica di cattolici.
Sul ruolo dei cattolici in politica si è più volte soffermata, naturalmente, la Democrazia Cristiana, che ha trovato in Alcide De Gasperi, oltre che il suo fondatore anche il più genuino interprete della sua missione sociale.
In un discorso, dal titolo "I presupposti storici e ideali della D.C.", pronunciato a chiusura della sessione del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana svoltasi a Fiuggi dal 30 luglio al 2 agosto 1949, il grande statista europeo ebbe ad affermare quanto segue:
«Si, il cristianesimo professato e vissuto fornisce ali alla nostra Democrazia, ma non è che la Democrazia sia vincolata per tutti allo stesso impulso iniziale, consapevole e proclamato. Il Cristianesimo ha lasciato oramai nella storia tali impronte ch'esso agisce come elemento ambientale e vitale anche per chi non lo professa o se ne avvede solo quando Roosevelt legge il Discorso della montagna o quando Croce afferma che noi non possiamo non dirci cristiani. Noi non chiediamo a nessuno rinuncie o adesioni, chiediamo solo che i diritti umani della libertà sociale e della giustizia sociale, comunque motivati, costituiscano la base del comune lavoro.
La Costituzione, che abbiamo giurata, ci offre la base giuridica di tale comunanza e impone le regole e i limiti dei nostri rapporti. Essa esclude l'intolleranza, suppone il rispetto delle fedi e ci detta il metodo di superare i contrasti, quando dal campo delle idee si ripercuotono nel settore della pratica civile e politica. La Costituzione esclude il clericalismo, ma tutela la libertà religiosa, esclude l'anticlericalismo, ma salvaguarda la libertà della fede».

martedì 9 settembre 2008

Una nuova generazione di politici cattolici

In Italia serve una "nuova generazione" di politici cattolici, che abbiano "rigore morale" e "competenza": lo ha affermato Benedetto XVI, durante la messa celebrata a Cagliari domenica scorsa, sul sagrato del santuario di Nostra Signora di Bonaria. Ad ascoltarlo centomila fedeli e, in prima fila, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, il Governatore della Sardegna, Renato Soru, e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianni Letta.
Nell'omelia il Papa ha esortato la Chiesa e i cattolici a tornare a "essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell'economia, della politica" che, ha sottolineato, "necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile".
Sarà, allora, che l’attuale classe politica, fatte rare eccezioni, non riesca a realizzare quelle “soluzioni di sviluppo sostenibile” auspicate dal Papa, e non solo da Lui?
Forse è tempo di porre fine alla diaspora democristiana e di ritrovare ragioni di forte coesione, rifuggendo tentazioni di sudditanza culturale verso alcuno, avviando senza ulteriori indugi una fase di individuazione di risorse nuove, capaci e motivate alle quali affidare responsabilità di governo utilizzando le Amministrazioni Locali come vere e proprie “palestre” per la formazione di uomini “di Stato” e non semplicemente “di partito” o, peggio, “di azienda”.