martedì 29 marzo 2011

La Città di Pompei esempio di concreta solidarietà, nel nome del “nostro” Beato Bartolo Longo

La Città di Pompei, attraverso il suo Sindaco Claudio D'Alessio, si è detta pronta a fronteggiare l'emergenza umanitaria in atto, ospitando profughi provenienti dal Nord Africa. In questa ottica è stata indirizzata una istanza al Prefetto di Napoli. "Stanti le note criticità in atto nelle zone del Nord Africa, che hanno portato allo sbarco di migliaia di profughi sulle coste siciliane - scrive il primo cittadino - la Città di Pompei, anche in ragione delle sue peculiari tradizioni di solidarietà a cui si è ispirato il suo fondatore, il Beato Bartolo Longo, intende farsi carico della drammatica situazione offrendo ampia disponibilità ad ospitare un certo numero di profughi. Consci del sacro vincolo della solidarietà tra i popoli, riconoscendo il diritto inalienabile dei popoli al miglioramento delle proprie condizioni di vita, nonché la legittimità a ricercare più ampi spazi di libertà di pensiero e di azione, la mia comunità intende, dunque, offrire ospitalità agli immigrati. Con questo piccolo gesto - aggiunge il sindaco D'Alessio - intendiamo alleviare, almeno in parte, le sofferenze dei popoli che vivono sull'altra sponda del mare nostrum".

lunedì 28 marzo 2011

Udc: Non piegare la solidarietà alla "ragion politica"

Sul tema della immigrazione - che in questi giorni vede ancora una volta in prima fila, come protagonista assoluta, la nostra terra, con il centro di accoglienza impiantato a tempo di record tra Oria e Manduria - riporto qui di seguito un comunicato diffuso ieri dal commissario provinciale dell’Udc, sen. Euprepio Curto.


“Non c’è che dire : messo per la prima volta seriamente alla prova sul tema della immigrazione il Governo Berlusconi ha miseramente fallito“. Lo dichiara il vicecapogruppo Udc in Consiglio regionale, Euprepio Curto, alla notizia della fuga dalla tendopoli di molte decine di immigrati giunti proprio stamani a Manduria. “Ovviamente – commenta Curto – non c’è nulla da gioire: la figuraccia rimediata dal Governo coinvolge l’immagine complessiva del nostro Paese, e non è questo l’obiettivo dell’Udc. Ma non c’è dubbio che, come avevamo ampiamente previsto, sarebbe stata necessaria una diversa organizzazione, mentre si è dato vita solo ad una sterile corsa contro il tempo solo per dimostrare una efficienza che alla prova dei fatti si è dimostrata fallimentare”. Per il consigliere regionale dell'Udc “non c’è contrapposizione politica tra il Governo nazionale e quello regionale che possa giustificare l’assenza di dialogo e coordinamento nella gestione del CIE di Manduria. Perseverare in tale atteggiamento ci spingerebbe a definire irresponsabili gli uni e gli altri, anche perché gli effetti potrebbero a breve risultare devastanti, così come in effetti è già avvenuto a Lampedusa e a Mineo”. "L’Udc respinge sdegnata – afferma Curto – la prassi politica secondo la quale anche i temi di altissima portata civile, come la solidarietà, debbano essere condizionati e piegati alla cosiddetta ragion politica, nella consapevolezza che, proprio in momenti delicati come questo, lo spirito nazionale debba prevalere coniugando la sacrosanta esigenza di sicurezza delle popolazioni locali con quel principio di solidarietà che, lungi dall’essere declamato con le parole, deve essere concretizzato nei fatti e nelle scelte concrete". “L’Udc – prosegue Curto – rivolge un nuovo appello al Governo nazionale e a quello regionale perché si seggano entrambi ad un tavolo con le istituzioni locali al fine di gestire in maniera alta quello che già da oggi possiamo definire un fenomeno di portata epocale, nella consapevolezza che, se ciò non avverrà, entrambi si assumeranno una gravissima responsabilità di fronte al Paese, all’Europa e al mondo, in quanto avranno dimostrato che una grande nazione come l’Italia, a causa di miserevoli beghe interne, è incapace a gestire un tema dagli altissimi contenuti civili”. “Intanto – dichiara ancora Curto – già nella giornata di domani l’Udc promuoverà un coordinamento istituzionale delle province di Taranto e di Brindisi, per una analisi puntuale della situazione del CIE di Manduria, non escludendo, anzi auspicando, il coinvolgimento di un’altra istituzione che sul tema immigrazione rappresenta per l’Udc un punto di riferimento decisivo: la Chiesa". Il sen. Curto nei giorni scorsi aveva chiesto la convocazione del Consiglio regionale per discutere sulle modalità con cui la Regione avrebbe dovuto affrontare il delicato tema della immigrazione nord africana. “L’Udc non intende alimentare polemiche con il Presidente Onofrio Introna, ma la mancata convocazione del Consiglio regionale relega l’assise di via Capruzzi in un ruolo politicamente marginale rispetto ad un problema, l’esodo dei disperati del Nord Africa, che avrebbe dovuto vedere la Regione protagonista”. “A una prima tempestiva dichiarazione di disponibilità da parte del Presidente del Consiglio regionale a portare l’argomento in sede di Conferenza dei capigruppo – continua Curto – ha fatto seguito non solo il silenzio più assoluto, ma addirittura la convocazione del Consiglio per ben due giorni, ma con all’ordine del giorno argomenti che però non hanno la sicura valenza politica della questione immigrazione”. “La convocazione del Consiglio regionale sarebbe stata quanto mai opportuna – aggiunge Curto – non solo per conoscere dal Presidente Vendola i termini del confronto col Ministro Maroni, ma anche per mettere a punto una strategia idonea a governare il fenomeno senza correre il rischio di esserne travolti”. “Intanto – evidenzia l’esponente Udc – il territorio attende con preoccupazione i primi sbarchi senza conoscere se si tratterà di gestire profughi, rifugiati politici o delinquenti comuni; senza conoscere la durata della loro permanenza, i sistemi di controllo sanitario e quelli relativi all’ordine pubblico, quanti ne rimarranno sul territorio, quali saranno gli strumenti per favorirne l’integrazione “. “Sono tutti elementi di assoluto rilievo politico – conclude Curto – rispetto ai quali il Consiglio regionale non può essere relegato in un ruolo di passivo spettatore. Ne va del futuro del nostro territorio”.

mercoledì 23 marzo 2011

Latiano. Urbanistica. Un passo avanti. E' possibile?

Insieme ad altri sette Consiglieri Comunali ho firmato la seguente mozione - incentrata sulla tematica dello sviluppo urbanistico della Città - che abbiamo già provveduto a depositare stamane presso l'Ufficio Protocollo del Comune e ad inviare agli Organi di Informazione. Se tale mozione - che credo possa incontrare anche il conseno della maggioranza - sarà discussa e votata prima dell'adozione definitiva della lottizzazione in contrada Smargiasso, potrà rappresentare un contributo alla chiarezza sulle prospettive di sviluppo del territorio latianese.

PREMESSO

che l’articolo 41 della Costituzione stabilisce che l’iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale;

CONSIDERATO

che il comparto edilizio locale vive una fase di crisi determinata da molteplici fattori e che si ha ragione di ritenere che una più ampia e diversificata disponibilità di spazi edificabili possa accrescere la domanda di nuove costruzioni anche mediante un adeguamento, al ribasso, dei prezzi correnti, per effetto di un incremento dell’offerta abitativa;

che, tuttavia, è preminente interesse generale il vedere garantito uno sviluppo organico del territorio cittadino, attraverso la definizione e la proiezione di una idea di come e di cosa si intenda far divenire Latiano nei prossimi decenni;

che, pertanto, ogni pianificazione edilizia debba rispondere alla duplice esigenza di favorire tempestività di attuazione e contestualizzazione in un complessivo progetto di sviluppo della Città;

PRESO ATTO

che è tuttora vigente un Piano di Fabbricazione Comunale di Latiano;

che detto Piano di Fabbricazione risulta oggi inadeguato sia rispetto alle previsioni normative allo stesso sopravvenute, soprattutto in materia di sicurezza e di salvaguardia del patrimonio storico – culturale, sia rispetto alle esigenze di una mutata condizione sociale e demografica della Città di Latiano;

che risulta conferito, già dalla precedente Amministrazione Comunale, un incarico tecnico per la redazione del Piano Urbanistico Generale di Latiano;

RITENUTO

che il mandato tecnico conferito per la redazione del Piano Urbanistico Generale debba sottendere ad una impronta politica da realizzarsi nell’ambito della normativa vigente e che, pertanto, già in questa fase di estensione di detto Piano, se ne possano individuare le possibili ricadute, anche in termini di previsioni edificatorie, in modo da poter armonizzare gli interventi oggi eventualmente licenziabili con quelli prospetticamente configurabili;

che l’esaurirsi della vigenza del Piano di Fabbricazione ed il determinarsi del Piano Urbanistico Generale debbano coniugarsi nell’intento di una graduale, ragionata, partecipata, evoluzione dell’idea di territorio che la comunità locale - attraverso la sua rappresentanza politica - intende esprimere ed affermare;

SI PROPONE

l’adozione del seguente dispositivo da parte del Consiglio Comunale:

  1. Dare impulso all’Amministrazione Comunale per la calendarizzazione dell’iter che condurrà all’approvazione del Piano Urbanistico Generale;
  2. Impegnare l’Amministrazione Comunale a far conoscere, ed a sottoporre ad una ampia discussione nelle sedi istituzionali preposte, le coordinate strategiche intorno alle quali si sta procedendo alla redazione tecnica del Piano Urbanistico Generale.

F.to: Gabriele Argentieri (Udc), Angelo Caforio (Pdl), Antonio Gioiello (Pd), Giuseppe Natale (Pdl), Cosimo Rubino (Pdl), Claudio Ruggiero (Udc), Mauro Vitale (Udc), Salvatore Zucchero (Indipendente).

sabato 19 marzo 2011

Con il Risorgimento libico. Ma...

Il nostro Presidente della Repubblica assicura che l'Italia farà "tutto il necessario" per proteggere, insieme alle forze alleate, la popolazione civile libica dalla reazione del "rais".
Gheddafi, infatti, con accanita ed inaudita violenza, ha voluto sopprimere il "Risorgimento" libico, cioè quel moto rivoluzionario di liberazione che si è espresso sin dallo scorso mese di febbraio in quella terra a soli cento chilometri dalle nostre coste.
Ora siamo in guerra. Anzi, per dirlo senza ipocrisia, la guerra è in Libia e le nostre navi, i nostri aerei, sono lì.
Le nostre basi sono in allerta ed ospitano i mezzi militari dei Paesi occidentali "volenterosi", che muovono verso Bengasi e Tripoli.
Chi glielo dice ora, ai civili libici, che gli interventi di quegli aerei occidentali che, in nome della libertà, volano sulle loro teste, potrebbero produrre qualche "effetto collaterale"? Come si può fare ragione di una morte "amica", portata da una mano "liberatrice"?
Non illudiamoci: per quanto Gheddafi possa essere un uomo spregevole, un pazzo senza scrupoli, un oppressore ormai palesemente nemico del suo popolo, anche questa non è una guerra giusta.
Non esiste una guerra giusta.
E non è meno sbagliata, una guerra, se ci si impegna ad essere tanto forti ed "efficaci" da farla finire presto.
E non è meno sbagliata, una guerra, se in palio ci sono pure tanti pozzi di petrolio.
Anche questa guerra è frutto del fallimento della politica e della ragione.
La Russia, che nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU si è astenuta dalla votazione sull'intervento militare in Libia, stasera ha bollato come "affrettate" le decisioni della comunità internazionale.
Ma la non partecipazione della Russia e della Germania non sono meno colpevoli, perchè interessate.
Probabilmente la maggiore fetta di responsabilità, in questa vicenda, è da attribuire proprio al Governo italiano che, in pochi mesi, è passato dal baciamano (di Berlusconi a Gheddafi) all'elmetto.
Se l'Italia si fosse "lasciata andare" un po' meno, soprattutto negli ultimi anni, forse oggi avrebbe potuto svolgere un ruolo diverso, addirittura decisivo, per evitare la strage di innocenti che, in Libia, già si è consumata nelle ultime settimane e, prevedibilmente, continuerà a consumarsi nelle prossime ore.
Il senso della misura, spesso, aiuta a non perdere la ragione. E a non doverne, poi, pagare le inevitabili conseguenze.

martedì 15 marzo 2011

Italiani del Sud

La ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia è anche occasione per ricordare i vinti, ovvero coloro che non furono con “i piemontesi”. Ed oggi, quando ormai l’unità è valore acclarato - nella consapevolezza che una grande Patria sappia restituire verità alla sua Storia e che non abbia bisogno dell’onta su alcuni suoi figli per farne grandi altri (perché, peraltro, questi ultimi, grandi lo furono senza necessità di confronto) - merita almeno un approfondimento la vicenda che accomunò quegli uomini del Sud che diedero vita al fenomeno del Brigantaggio.

Di loro si sono occupati in tanti, da Antonio Gramsci a Benedetto Croce, da Alessandro Dumas a Leonardo Sciascia e Raffaele Nigro.

Ora però noi italiani meridionali abbiamo il dovere di offrire ai briganti un tributo di memoria popolare diffusa.

Certo, il brigantaggio è stato fenomeno complesso.

Fu guerra civile, quella combattuta, anche nelle nostre contrade, nel primo decennio dopo l’unità d’Italia?

Molti storici sostengono che il brigantaggio nacque anche da un moto di disperazione, come protesta della miseria contro antiche e nuove ingiustizie.

Mack Smith, ricordando quanto riportato dai meridionalisti, sottolinea che agli occhi dei contadini il brigante diventava un simbolo delle loro aspirazioni frustrate, il vendicatore dei torti da loro subiti: egli era non più l’assassino, il ladro, l’uomo del saccheggio e della rapina ma piuttosto colui che aveva forza sufficiente per ottenere per sé e per gli altri quella giustizia che la legge non riusciva a dare.

La fine del regno delle Due Sicilie aveva rappresentato pure quella della elementare economia di sussistenza, che consentiva anche ai più diseredati di sopravvivere: i poveri si erano ritrovati ancora più poveri con i liberatori che avevano cominciato con l’imporre tasse e servizio militare obbligatorio.

Queste novità si intrecciavano con vecchi motivi di scontento a cominciare dalla questione demaniale (risolta solo diversi decenni più tardi, agli albori della Repubblica) e dall’aspirazione alla terra sempre promessa, mentre una parte notevole della nobiltà (anche gli stessi Borboni) e della borghesia, ambiguamente, assicurava appoggio ed alimentava vane illusioni.

Ecco, allora, qui di seguito, un piccolo contributo: un brano tratto da “Brigantaggio tramontato”, un libro di Abele De Blasio pubblicato a Napoli nel 1908 e ristampato da Capone editore nel 2001 (“Storie di briganti”) con la presentazione di Gianni Custodero.

Il passo che propongo narra della cattura del brigante Carmine Crocco, tradito da un suo uomo, Giuseppe Caruso, tipico esempio di “pentito” premiato poi con la nomina a brigadiere delle guardie forestali.

Giuseppe Caruso, per le sue buone qualità brigantesche, ben presto si attirò la simpatia del suo capo Carmine Donatelli Crocco, che lo elevò al grado di sottocapo; ma un bel giorno Zi-Beppe, così era chiamato il Caruso, in luogo di eseguire gli ordini di Crocco, si staccò dalla comitiva e andò a costituirsi al generale Fontana, che trovavasi in Rionero.

Per i suoi precedenti la giustizia di Potenza regalava al Caruso sette anni di lavori forzati.

Mentre si trovava in carcere, per ottenere la libertà, si offerse di voler fare la spia alla banda Crocco.

Questo suo desiderio lo fece esprimere al Pallavicini, il quale, a sua volta, fece venire innanzi a sé l’ex bandito per prendere gli opportuni accordi.

Zi-Beppe così disse al generale:

«La banda Crocco continua a desolare colle sue gesta i paesi del circondario, e non sarà facile poterla distruggere; poiché il capo è assai destro e scaltro, e, quello che più vale, conoscitore dei più minuti nascondigli di queste numerose boscaglie. Io, che fui già colla banda Crocco, ed ebbi ad abbandonarla per grave contesa, corsi ora, nel carcere, pericolo di morte per opera della stessa sua mano, onde voglio vendicarmi di questo infame attentato. Domando a Lei, quale capo delle truppe della zona, di venire utilizzato alla caccia dei briganti.

Libero di me, io vorrei non dico esser soldato ma mettermi a guida delle truppe per dirigerle nelle guerriglie contro i briganti, avere talvolta a mia disposizione pochi e valorosi soldati per scovare il Crocco e i suoi compagni nei loro ricettacoli, negli antri più nascosti delle selve e con una persecuzione costante, spietata ucciderli ad uno ad uno o costringerli ad una resa forzata».

[…]

Un giorno, a mezzo di denaro, seppe il Caruso da una spia di Crocco, creduta da costui incorruttibile, che il famoso brigante si trovava nel Castello di Lagopesole in attesa del risultato di un tentato riscatto verso un signore di Pietragalla.

Coll’autorizzazione del generale Pallavicini, il Castello fu circondato e i briganti, che si trovavano a bivacco, furono attaccati alla baionetta.

Dei briganti alcuni fuggirono verso il Bradano, dove andarono a finire nelle mani dei soldati, altri, che cercarono salire il torrente Salice, furono pure presi, e parecchi altri furono uccisi.

Crocco, per una grotta, si salvò.

[…]

Il Crocco, non trovando più pace per le continue persecuzioni, cercò imitare le spagnuolo Borjés col penetrare negli Stati pontifici e dopo disastrose marce riuscì a giungere salvo in Roma senonchè la fama sua di brigante feroce e brutale era nota alla Curia Romana, per cui Pio IX ebbe timore che il Crocco continuasse nel territorio papale le sue gesta brigantesche e credette utile chiuderlo in carcere.

domenica 13 marzo 2011

Rete sociale

Molte persone a me vicine continuano a sollecitarmi la presenza su un social network. Mi invitano ad osservare che un blog possa risultare troppo statico, come strumento, e pertanto un po’ refrattario a mettere in circolo la comunicazione. Non so. Probabilmente è così. Devo pensarci bene; devo informarmi meglio. Certo è che il concetto mi intriga. Ma confesso che, pur avendo avuto ben presto l’opportunità di possedere un computer (era un Commodore Vic20 regalatomi dalla nonna a Natale del 1984), sono arrivato sempre in ritardo a comprenderne appieno le potenzialità. Insomma, prima o poi ci sarà anche per me il “grande salto”. Non so se l’approdo sarà Facebook, o Twitter, o altro. Per il momento, comunque, lo ammetto (anche se qualcuno aveva dei dubbi): non ho (e non ho mai avuto)… un profilo.

domenica 6 marzo 2011

7 marzo 1991

Venti anni fa lo sbarco a Brindisi di migliaia di persone disperate, provenienti dall'Albania, alla ricerca di un futuro.
Tanti di noi hanno da raccontare una storia, tratta dal loro vissuto, su quei giorni.
Brindisi e la sua Provincia si scoprirono frontiera della speranza e, allo stesso tempo, terra dell'accoglienza.
Laddove lo Stato si mostrò impreparato, le Famiglie, le Parrocchie, le Associazioni seppero fare la differenza; con trasporto, con naturalezza. Forse anche riconoscendosi in quell'esperienza di esodo, di emigrazione di massa.
Oggi tante di quelle persone appartengono a pieno titolo alla nostra comunità e contribuiscono ad arricchirla con la loro originalità, con la loro laboriosità... con la loro essenza, al pari di ciascuno di noi.
Nella ricorrenza dei 150 anni dell'unità d'Italia giova ricordare anche questo anniversario, quale contributo alla nostra consapevoleza di Popolo, come viatico nel percorso per il riconoscimento effettivo della libera cittadinanza di tutti gli uomini.