«Lei è…» si introdusse così, all’alba di un giorno del 1993, un Carabiniere giunto alla porta di casa dell’on. Antonio Gava. E lui, di rimando: «non sono; ero». Seguì qualche giorno di carcere, con l’accusa di associazione mafiosa, poi due anni di arresti domiciliari ed un processo durato tredici anni e due mesi, conclusosi con l’assoluzione definitiva in appello nel 2006. Napoletano, democristiano, ministro per tredici volte (due delle quali all’Interno), figlio di un ex ministro democristiano (Silvio), Antonio Gava, nel periodo del suo massimo fulgore, tra gli anni ’70 e ’80, veniva chiamato “il vicerè di Napoli”. Fu sua la riforma degli enti locali, che ancora oggi costituisce un’architrave del funzionamento dei Comuni e delle Province. Ugo Baduel, cronista dell’Unità, che pure non gli lesinava attacchi, così lo definì: «Gava è intelligente, lucido, scettico sugli uomini e sottile conoscitore delle loro debolezze, cinico ma non ottuso o insensibile». Insomma, nella vera e propria guerra civile di “mani pulite”, Antonio Gava ha rappresentato un idolo ideale da abbattere, per fare spazio, come troppo spesso è accaduto, ad una “classe-non-dirigente” improvvisata e poco autorevole, incapace di costituire un argine alle forze anti – Stato (come la criminalità organizzata) e talvolta, addirittura, incapace pure di assicurare lo svolgimento di servizi pubblici essenziali (come la raccolta dei rifiuti).
sabato 9 agosto 2008
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