martedì 31 gennaio 2012

Crisi: i giovani stanno pagando il prezzo più caro.

Gli indici della disoccupazione in Italia continuano ad aumentare, raggiungendo ormai livelli record. I dati ISTAT relativi allo scorso mese di dicembre parlano chiaro. Il tasso di disoccupazione è salito all’8,9% e chi più risente di questa situazione sono i giovani: uno su tre (per la precisione: il 31,2%) è senza lavoro. In Germania, invece, i tassi di disoccupazione (6,7%) sono tendenzialmente decrescenti ed hanno addirittura segnato, nel mese di gennaio 2012, il dato più basso degli ultimi venti anni. Cosa accade, dunque? La congiuntura economica globale può non essere così implacabile, a differenza di come ci è stata descritta finora? Una riflessione è necessaria, a tutti i livelli, sul valore dell’economia reale, sui limiti della finanza, sulla grande opportunità, che abbiamo, di costruire una Società più giusta misurando il benessere in modo diverso.   

mercoledì 25 gennaio 2012

Un latianese in Giunta Provinciale.

Il Presidente della Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese, ha azzerato la Giunta Provinciale «con il chiaro intento - si legge in un comunicato ufficiale - di rimodulare, rilanciare e potenziare l’Esecutivo in vista delle problematiche a cui l’Ente è chiamato a fornire delle risposte nei prossimi mesi. Il Presidente - si legge ancora nel comunicato - attenderà le segnalazioni che perverranno dalle forze politiche della coalizione per la composizione della nuova Giunta».
Apprendo poi dai giornali, proprio in questi ultimi giorni, che tra i “papabili” alla nomina quale Assessore Provinciale ci sarebbe Antonio Gioiello, esponente del Partito Democratico ed unico Consigliere Provinciale latianese attualmente in carica.
Io non ho votato per Antonio Gioiello alle ultime elezioni provinciali e non appartengo al suo Partito; tuttavia ritengo che la sua nomina come Assessore Provinciale possa rappresentare una opportunità per l’intera comunità latianese.
In un momento di crisi economica e sociale generalizzata, e sia pure alla vigilia di una profonda trasformazione istituzionale delle Province, la presenza di un riferimento locale nell’Esecutivo di quell’Ente può, infatti, a mio avviso, agevolare il prodursi di risultati utili per la nostra Città.
Conosco Antonio Gioiello da diversi anni, precisamente da quando io ero ancora minorenne e lui fu candidato al Consiglio Comunale nella Democrazia Cristiana.
Tra noi c’è sempre stato rispetto e, qualora ne abbiamo avuto l’opportunità, anche collaborazione.
Certo tra noi non è mai scoccata “la scintilla”: insomma, non ci siamo mai “amati” (ovviamente in senso metaforico ed in riferimento al contesto politico…) ma tale circostanza, come dire, non ha determinato, in ciascuno di noi due, ragioni di insonnia; anzi, questa “distanza” ci ha consentito di relazionarci sempre con grande franchezza.
Se Antonio Gioiello sarà nominato Assessore Provinciale, potrà dunque mettere a frutto la sua lunga esperienza politica.
Se, invece, Antonio Gioiello non avrà quella nomina, è improbabile che possano prodursi maggiori effetti benefici sulla comunità latianese, almeno per quanto è nelle prerogative della Provincia.
Latiano ha dato tanto, in termini elettorali, al Presidente Ferrarese. E tra quei voti non c’è stato il mio, che notoriamente, alle elezioni provinciali del 2009, ho preferito il sen. Michele Saccomanno.
La situazione politica cittadina si è poi modificata.
Credo allora che ci siano diverse ragioni - oltre quelle che il Partito Democratico rappresenterà, o sta già rappresentando, al Presidente Ferrarese (e che, pur essendomi estranee, doverosamente rispetto) - perché nella nuova Giunta Provinciale sia nominato un latianese.

domenica 22 gennaio 2012

L'argenteria di famiglia

Latiano può farcela, a dispetto di tutto e tutti. Latiano può colmare il divario con alcuni centri limitrofi che, negli ultimi 30 anni, hanno fatto passi da giganti, in avanti. Latiano può invertire quella che talvolta appare come una inesorabile rotta verso la “consacrazione” quale Comune – dormitorio.
Un barlume di speranza, nel senso fin qui declinato, lo concede la presenza a Latiano di alcune persone, uomini e donne, che rappresentano vere e proprie “eccellenze” nei rispettivi ambiti di impegno. E non mi riferisco solo alle competenze professionali ma anche al “valore aggiunto” costituito dal gusto, dall’estro, dall’intuito, dalla perseveranza, dal carisma e dalla passione con cui queste persone sanno approcciarsi alle varie “sfide”. Di alcune di queste persone ho già parlato, su “mimpegno”. L’elenco non è, a mio avviso, proprio brevissimo e, pertanto, prima o poi tornerò a chiamare in causa altri “benemeriti”.
Questa volta ritengo doveroso evidenziare Paolo Legrottaglie: portatore sano di entusiasmo, organizzatore instancabile, colto divulgatore.
La Cultura, in Provincia di Brindisi, può ancora scriversi con la “C” maiuscola anche grazie all’importante contributo che Paolo ha saputo offrire (e continua a farlo). Una testimonianza concreta, insomma, della possibilità di realizzare, a Latiano, ciò che può catalizzare attenzione, ammirazione, anche dall’esterno e può, quindi, suscitare, in altri, l’emulazione o, addirittura, la tentazione di “importare”.  

giovedì 19 gennaio 2012

E' giusto un patto generazionale?

Ho letto anche io la lettera con la quale Antonio Distante ha rassegnato le proprie dimissioni da Assessore al Comune di Latiano.
Mi astengo volentieri dal commentare tale decisione poiché ciò che accade (a dire il vero sin da qualche tempo prima delle dimissioni di Distante), o forse sarebbe meglio dire “ciò che non accade”, è ormai sotto gli occhi di tutti.
Tengo invece a condividere alcune considerazioni personali sul livello di capacità di cui sta dando prova la generazione a cui appartengo, nel reggere la sfida che in questi anni le compete: quella di contribuire nel modo più efficace al benessere, presente e futuro, della collettività.
Conosco da un po’ di anni Antonio Distante; a lui mi legano soprattutto ricordi dei luoghi parrocchiali e di qualche esperienza in Azione Cattolica.
Ricordo di aver condiviso, in particolare con lui e con altri due amici, la fondazione e la redazione, per alcuni “numeri”, di un giornalino: “I Care”, chiaramente ispirato, nella testata, al motto coniato da don Lorenzo Milani per la “sua” Scuola di Barbiana.
Ricordo che ben presto, nelle riunioni della “redazione” di “I Care”, il gusto per il confronto tra noi, sulle più diverse tematiche esistenziali e politiche, prese il sopravvento.
Insomma, la scelta degli argomenti su cui incentrare gli articoli (almeno quelli destinati a caratterizzare i vari “numeri”), e poi la selezione delle illustrazioni nonché la definizione dei titoli, divennero la sintesi di una elaborazione sempre più approfondita, che ci esponeva reciprocamente, che ci metteva in discussione.
Eravamo diversi già allora, noi della “redazione” di “I Care”!... Diversi tra noi.
E quella originalità ciascuno di noi teneva ad ostentarla, bonariamente, ed a rivendicarla al cospetto degli altri “colleghi” della “redazione”.
Ma quella diversità non ha mai messo in discussione la stima reciproca e la volontà di realizzare qualcosa insieme.
Era bello stampare le bozze, “a getto d’inchiostro” (magari “in scala di grigio”, per risparmiare), accorgersi del risultato di cui eravamo capaci, sottoporre tutto al “primo esame” (con il Parroco).
Quando si capì che “I Care” poteva avere davvero qualcosa da comunicare  - che poteva quantomeno rispecchiare il pensiero più diffuso in un gruppo di giovani e giovanissimi e che, se non era in grado di fare “opinione”, riusciva comunque a suscitare interrogativi, a far scoprire uno stato di condivisione di sentimenti, di ansie, di aspirazioni -  ci fu la “consacrazione” in tipografia: si passò infatti dal fotocopiatore della sagrestia alla stampa su carta riciclata, a cura di Giovanni Rubino. E fu, quella, l’occasione per “sdoganare” I Care fuori dal perimetro dei muri parrocchiali.
Il caro Giovanni, ovviamente, non si limitava a stampare; ma era rispettoso, non si intrometteva; dal suo sguardo, quando gli sottoponevamo le bozze, cercavamo però di capire quale reazione sortissero: ci piaceva, un po’ ci emozionava, quel “secondo esame”.
Poi quella esperienza di “I Care” per noi finì… la vita portò altrove ciascuno di noi.
Ho ritrovato Antonio Distante da Assessore comunale, mentre anche io mi cimentavo, per la prima volta, come Consigliere comunale, di opposizione a quella Giunta in cui il “vecchio collega” della “redazione” di “I Care”, sia pure da “esterno”, era stato chiamato a portare il suo contributo, politico e professionale.
Non so, davvero, se il fervore che avevamo confrontato nel nostro precedente incontrarci avrebbe dovuto preparare una prova diversa, da parte nostra, pur nel rispettivo ruolo di Amministratore e di Consigliere comunale. Non so se siamo stati, entrambi, adeguatamente maturi nello svolgimento del nostro compito. Non so se abbiamo tradito le nostre stesse aspirazioni. Non so se avremmo potuto rispettarci di più, come un tempo, nonostante la nostra conclamata “diversità”. Non so se, insieme ma nel rispetto dei ruoli, avremmo potuto costruire di più, nell’interesse esclusivo della comunità in cui sono le nostre radici. So però che  - al di là delle vicende di questa Amministrazione (che non mi appassionano), della attuale maggioranza e della attuale opposizione -  ci è dato un “secondo tempo”, almeno un altro!, per fare ancora meglio. Magari facendo tesoro degli errori che, eventualmente, si sono commessi. E certo non mancheranno le forme ed i modi (non si vive di sola politica…) per continuare ad offrire un contributo pubblico, perché no? (ancora una volta), integrando e valorizzando le diversità.    

domenica 15 gennaio 2012

L'Assessorato alla Felicità... e la crisi... utile.

Nelle scorse settimane i media hanno dato risalto al Sindaco di Ceregnano  - un Comune di quattromila abitanti in Provincia di Rovigo -  che ha istituito l’Assessorato alla Felicità. In sostanza si è trattato di una iniziativa semplice, accompagnata da sforzi interpretativi forse eccessivi (lo stesso Sindaco di Ceregnano, dopo aver correttamente osservato, in riferimento all’attuale momento storico, che «gli italiani sono venuti fuori in passato da situazioni ben peggiori di questa e ora non sarà lo spread a schiacciarci», ha disquisito di «ottimismo a prescindere da tutto» ed ha esortato a «sorridere un po’ di più alla vita»…), che è stata concretamente sintetizzata dalle parole dell’Assessore preposto, una quarantaduenne che di professione fa la cuoca presso una casa di riposo: «il Comune che ha istituito l’Assessorato alla Felicità non può che cercare, oltre a regolare la vita amministrativa nel miglior modo possibile, di ideare iniziative per fornire ai suoi abitanti momenti di svago e di felicità».
Insomma non so se l’idea del Sindaco di Ceregnano meriti di essere “esportata”: del resto, insieme ad un Assessorato alla Felicità, in ogni Comune se ne potrebbe attivare anche uno alla Concordia, o alla Convivenza Civile, o al Rispetto Reciproco, o al Buon Gusto… o, perché no?, al Buon Senso.
Certo, un autorevole riferimento storico è rinvenibile nella Dichiarazione di indipendenza americana, del 4 luglio 1776, che sancisce che a tutti gli uomini vada riconosciuto il diritto “alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”.
Ma al di là degli Assessorati, più o meno improbabili che possano venire alla mente, emerge oggi un sentimento diffuso di ansia, di insoddisfazione, di incertezza e di scoramento a cui chi ha qualche responsabilità sulla “cosa pubblica” si sforza di corrispondere.
Non credo, però, che il rimedio stia nella istituzione di un nuovo Assessorato o di un nuovo Ministero.
E non credo che ci siano ricette, o soluzioni, a portata di mano: nessuna alchimia, politica o amministrativa, può infatti rappresentare un rimedio che accontenti tutti.
E’ ineludibile, ritengo, che al cospetto della attuale situazione socio – economica, si debbano operare delle scelte chiare, secondo un ordine di priorità.
Nelle famiglie, anzitutto, credo che si stia già tornando a porre al centro “i valori”, sforzandosi di individuare il superfluo ed esercitandosi a cominciare a farne a meno.
E, a livello generale, credo che ormai occorra discernere, stabilire cosa abbia diritto di precedenza e cosa invece vada garantito appena dopo.
La classe politica, ad esempio, a mio modo di vedere, deve avere il coraggio di operare scelte che favoriscano i “figli” a scapito di qualche privilegio ormai acquisito dai “padri”.
Penso, a tal proposito, in particolare, alle liberalizzazioni, soprattutto quelle che riguardano le professioni, ed immagino che si possa agire, finalmente, con coraggio, così come il Governo italiano ha saputo fare, poche settimane addietro, sulle pensioni.
Solo così si potrà davvero iniziare a fare il necessario, il dovuto, per riconoscere alle nostre giovani generazioni il sacrosanto diritto… alla Felicità.         

mercoledì 4 gennaio 2012

Ferrovie: metafora di un Paese confuso.

Riporto qui di seguito, da www.lagazzettadelmezzogiorno.it, la testimonianza di un concittadino latianese, che credo rappresenti concretamente sia l’incapacità della classe politica nazionale ad immedesimarsi nelle problematiche più comuni delle famiglie italiane, sia l’insensibilità, di quella stessa classe politica, di fronte ad un distacco sempre più accentuato tra nord e sud del Paese: è un dato di fatto, emblematico della situazione, che oggi Latiano e Como siano più “lontani” rispetto a dieci anni addietro.
Intanto anche il Presidente di una Provincia del Sud  - il Presidente della nostra Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese -  di fronte a questa situazione si vede addirittura costretto a “gridare” il suo forte dissenso dalle finestre della sede della Istituzione che rappresenta: dallo scorso 30 dicembre, infatti, da un balcone del Palazzo della Provincia è esposto un grande striscione che riporta la scritta “La Puglia non è un binario morto. Ridateci i treni!”. «L’auspicio  - ha affermato il Presidente Massimo Ferrarese in un suo comunicato stampa -  è che anche tante altre Istituzioni pugliesi assumano iniziative per dar vita ad una imponente mobilitazione generale finalizzata a mettere riparo alle forti penalizzazioni subite dai nostri cittadini nel trasporto ferroviario».    

Viaggio Brindisi - Milano. La Gazzetta ha svolto un compito importante di informazione e sensibilizzazione sulla questione della soppressione dei treni notturni, a partire dallo scorso 11 dicembre. 
Le implicazioni di quella decisione sono state drammatiche per i lavoratori  - che hanno perso il lavoro -  e per gli utenti, che hanno perso i collegamenti diretti e i costi contenuti del trasporto universale. 
Nell’ambito dei servizi pubblici, credo sia un caso più unico che raro di incremento così rilevante dei costi a fronte di un così netto peggioramento della qualità. Una decisione indegna di un paese civile, perpetrata contro i lavoratori, contro gli utenti, contro il servizio, contro il principio di mobilità, contro l’unità del paese. 
Mi chiedo come mai una decisione così spudorata non abbia sollevato una indignazione adeguata nel mondo politico, che dovrebbe rappresentare i bisogni dei cittadini e dare ad essi le risposte possibili.
Vuol dire che il trasporto pubblico non rientra nei compiti della politica? Non credo, dal momento che il diritto alla mobilità è addirittura un diritto costituzionale.
Probabilmente c’è stata una sottovalutazione del disagio a cui i viaggiatori devono sottoporsi per raggiungere dal sud le città del nord e viceversa. Intendo i viaggiatori che per ragioni di lavoro, di tempo o semplice preferenza scelgono i treni notturni. 
Vediamo di spiegarlo meglio: 
prima dell’11 dicembre era rimasto un unico treno da Brindisi a Milano: Brindisi 20.21, Milano 7.10, durata: 10 h e 49 minuti, costo: 59 euro (+ eventuale cuccetta). 
Vediamo cosa accade adesso: 
Oggi il costo minimo è di 92 euro (+ cuccetta) e la durata quasi sempre maggiore, nonostante l’enfasi data all’alta velocità. 
Più in dettaglio, per arrivare a Milano intorno alle 7, in tempo per recarsi al lavoro, l’unico modo possibile è il treno delle 17,14 per Roma, con durata di 13h,41’ e costo in seconda classe di 106 euro ( + eventuale cuccetta). 
I treni con cambio a Bologna hanno tempi di percorrenza analoghi o poco superiori, ma attese a Bologna troppo lunghe, che diventano più lunghe se il viaggiatore decide di risparmiare i 42 euro a testa necessari per pagare un biglietto Freccia Rossa per la tratta Bologna – Milano, una cifra corrispondente a quello che fino a due o tre anni fa era il prezzo dell’intera tratta Brindisi Milano. 
Facciamo il caso della mia famiglia, di 4 persone. Siamo partiti la sera del 1 gennaio per ritornare a Milano dopo le vacanze natalizie trascorse (come fanno tanti) nel paese di origine. Avendo speso quasi 300 euro complessive per la tratta Brindisi- Bologna, abbiamo pensato che potevamo risparmiare sulla tratta Bologna- Milano. Abbiamo rinunciato al Freccia Rossa delle 9.10 che sarebbe costato 168 euro (42 x4) e optato per il rapido delle 9,46, che ci ha portato a Milano alle 12,10: una decisione forse irrazionale per chi non ha problemi di budget, ma che sarebbe approvata da un buon numero di viaggiatori, almeno da quelli che condividono uno stipendio da impiegato. 
Alla fine abbiamo impiegato 12h,20’ da Brindisi a Milano, mentre per raggiungere Como ci sono volute altre 2h,20’, anche a causa della soppressione di alcuni treni delle Ferrovie Nord. 
Siamo usciti dalla casa di mia madre (in provincia di Brindisi) alle 23 del 1 gennaio per entrare in casa nostra, a Como, alle 15 del 2 gennaio. E pensare che non più di una decina di anni fa c’era un treno (credo diretto a Stoccarda) che da Brindisi fermava direttamente a Como. 
C’è un’idea vaga di questi spaccati di vita nella testa dei nostri rappresentanti e amministratori? La forma privatistica della gestione di Trenitalia non può esonerare la classe politica ad assumere questo problema come prioritario, specie quando questa gestione si rivela così dissennata. 
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i trasporti sono materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni (art. 117 Cost.). I consiglieri e gli assessori regionali sono dunque chiamati in causa direttamente, per il mandato che hanno ricevuto e per le funzioni loro attribuite dalla Legge fondamentale dello Stato.
Se la campagna della Gazzetta  - compresi i contributi resi liberamente dagli utenti (come nel mio caso) -  non è bastata a rendere l’idea, i consiglieri regionali potrebbero  - tutti insieme -  decidere di fare un viaggio analogo a quello che ho descritto in questo mio amaro resoconto. 
Forse il Paese andrebbe meglio se le condizioni di chi amministra  - almeno per un giorno -  potessero coincidere con quelle di chi è amministrato. 
F.to Gianni Pizzi (Biblioteca Centrale di Milano)