“La Puglia e il suo Acquedotto”: si intitola così un libro, scritto da Michele Viterbo (1890 – 1973) e pubblicato in prima edizione nel 1954, in seconda edizione nel 1991 (a cura di Antonio Rubino), poi ancora nel 2010, per i tipi di Editori Laterza, ma, in quest’ultima edizione, con prefazione di Fabiano Amati e postfazione del giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Massimiliano Scagliarini.
L’opera riporta la storia delle vicissitudini sopportate dai pugliesi prima di affrancarsi definitivamente dalla antica soggezione della sete.
L’Autore - che fu amministratore illuminato (al suo nome è legato il varo di importanti Istituzioni della nostra Regione) ma anche storico, letterato ed appassionato meridionalista - ripercorre gli atti e le azioni, le ansie e le passioni che condussero alla costruzione di quello che fu definito “il più grande acquedotto del mondo”, le cui reti idriche alimentano la Puglia, la Basilicata, parte dell’Irpinia, del Molise e della Calabria.
L’edizione che ho avuto modo di leggere, l’ultima, riporta, nella postfazione, le vicende degli ultimi 50 anni di vita dell’Acquedotto Pugliese.
Ho regalato questo libro a mio fratello nello scorso mese di settembre, subito dopo la sua elezione a presidente di un piccolo consorzio irriguo, ritenendolo utile viatico all’esordio di una esperienza di organizzazione della condivisione, laddove quest’ultima ha ad oggetto un elemento particolarmente sensibile, fondamentale, come l’acqua.
Mi accade spesso di regalare un libro che mi piace e che ritengo utile, ad una persona, in quel particolare momento della sua vita. E mi ritrovo, talvolta, a farmi poi prestare quello stesso libro, anche per una rilettura, quando ne avverto il bisogno.
Il mio momento per il volume di Michele Viterbo è venuto alcuni giorni addietro, quando il dibattito sul referendum ha fatto capolino un po’ in tutte le case, sospinto - sia pure, all’inizio, timidamente - dai mezzi di informazione.
Così mi sono fatto prestare “La Puglia e il suo Acquedotto” e ne ho completato la lettura in pochi giorni: una esperienza che consiglio, poiché suscita una ampia riflessione etica sul valore reale dei bisogni primari, sul consumo responsabile e sulla ottimale gestione delle risorse disponibili.
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