Abbiamo diffuso stamattina la seguente nota, a firma mia e di Mauro Vitale, al fine di apportare pubblicamente un contributo di analisi e di riflessione nella situazione di grande fermento che ormai da qualche settimana caratterizza, a livello nazionale, il campo politico dei moderati.
La strategia del “terzismo responsabile”, come l’ha definita Ferdinando Adornato, lanciata con coraggio da Pierferdinando Casini già nel 2008, ha avuto ragione al cospetto sia della, ormai a tutti evidente, crisi del bipolarismo italiano (così come si è realizzato finora) e sia della esperienza delle larghe intese - dapprima con Monti e poi con Letta - a cui la politica nazionale ancora fatica ad offrire una vera alternativa.
Tuttavia questa strategia, che ha visto cimentarsi l’Udc in un impegnativo, e per certi versi estenuante, ruolo di raccordo, ha perso nelle urne.
E allora - con la forza delle ormai acclarate ragioni politiche ma nella consapevolezza di un chiaro indirizzo, favorevole alla semplificazione del quadro politico, espresso dall’elettorato - occorre passare alla costruzione di un bipolarismo europeo.
Questa nuova, entusiasmante, sfida determina evidentemente il fermento che in queste settimane caratterizza il cosiddetto “campo” dei moderati.
Le posizioni che si appalesano sono differenti ma non manca il consueto minimo comune denominatore che, al di là dei tatticismi, accomuna tutti nel contesto di un’unica strategia: l’affermazione dei valori su cui si è fatta l’Italia democratica e su cui sono state poste le basi dell’Europa unita, primo fra tutti la solidarietà tra i popoli e tra le persone.
C’è chi punta a caratterizzare e ad organizzare un’ampia area politica che faccia riferimento al Partito Popolare Europeo, sottraendola alla omologazione sotto le insegne di un unico partito personale.
Ma c’è anche chi riflette, a tal proposito, sulla capacità e sulla volontà, del Partito Popolare Europeo, di essere, nel terzo millennio, scrigno dei tradizionali valori del popolarismo e non, piuttosto, cartello di vecchi e nuovi populismi.
C’è chi invece guarda al centrosinistra, intravedendo - nella concorrenza, su una futura premiership, tra i due cattolici Enrico Letta e Matteo Renzi - le condizioni di agibilità per una significativa componente moderata (anche a prescindere dal determinarsi di fratture nell’ambito del Partito Democratico).
Ma c’è anche chi riflette, a tal proposito, sulla capacità e sulla volontà, dei due giovani leaders emergenti, di appropriarsi in pienezza della missione di incarnare un progetto politico di lungo respiro, che sia veicolo per condurre l’Italia fuori dalla crisi e verso una stagione di nuovo benessere.
E poi c’è chi, forse trascurando un naturale istinto auto-conservativo dei due poli attualmente prevalenti, auspica di trovare, in una improbabile nuova legge elettorale improntata al doppio turno, il riconoscimento di uno spazio di manovra alle ragioni del centro: e ciò magari sull’altare della buona politica e, prima ancora, della credibilità della politica italiana in Europa.
In questo dibattito si ritiene comunque che non si debbano trascurare la voce ed il sentimento delle “periferie”, a meno che non le si voglia definitivamente consacrare come serbatoio elettorale dell’antipolitica.
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