Riporto qui di seguito una
riflessione di Walter Veltroni, pubblicata da “La Repubblica” il 29 agosto
scorso, che mi sembra utile portare all’attenzione di Chi usa dedicarmi un po’
del suo tempo.
Io, si sa, non sono uomo di
sinistra; avevo creduto nel centrodestra come coalizione di moderati “galantuomini”
ma poi i moderati sono stati messi da parte ed i “figli” di quella generazione
di galantuomini non sono stati all’altezza dei padri; sono deluso dal Partito
Democratico (che, notoriamente, ho votato alle europee del 2014 ed alle
regionali del 2015); mi sento parte di quelli (credo siano, oggi, una
minoranza) che non sono disponibili a farsi sopraffare dalle logiche dell’egoismo
e della paura.
Credo, quindi, che sia il
momento, per questa minoranza odierna, di farsi sentire, di far circolare le
proprie idee (anche con le relative diversità), di esercitare insomma una
qualche “responsabilità educativa”, …se possibile, di organizzarsi: perché la
cultura occidentale - quella dei
patrioti come John MacCain, ma anche quella dei visionari come Barack Obama,
quella dei grandi umili come Alcide De Gasperi, quella dei pacifisti come
Giorgio La Pira, quella dei profeti come Giuseppe Dossetti… e tantissimi altri
- non ci ha insegnato a costruire muri,
o a sopraffare l’altro. Quella cultura, che è il nostro vero patrimonio di
civiltà, ci ha insegnato che la pace e la buona convivenza si realizzano
attraverso il diritto (“Giustizia e pace si baceranno”, Salmo 84).
«
Luciano Gallino, intellettuale di sinistra - definizioni che sembrano diventate brutte
parole - scrisse più di venti anni fa
l'introduzione a un libro nella quale diceva "la distruzione di una
comunità politica, la fine della democrazia, è sempre possibile... Oggi come
allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi, ma stanno
anche dentro di noi, nel perenne conflitto, che è a un tempo sociale e
psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà". Il volume era
Come si diventa nazisti di William Allen, uno storico che si incaricò di
raccontare come una piccola comunità dell'Hannover si trasformò da città
storicamente di sinistra a feudo del nazismo, in cinque anni passato dal 5 per
cento al 62,3. Allen scrive che "il problema del nazismo fu prima di tutto
un problema di percezione". Non esiste evidentemente in Italia e altrove
un pericolo nazista, anche perché la storia non si ripete mai nello stesso
modo. Ma la mia angoscia, l'angoscia di un uomo che ha dedicato tutta la sua
vita a ideali di democrazia e progresso, è che non si abbia la
"percezione" di quello che sta accadendo. Che non ci si accorga che
parole un tempo impronunciabili stanno diventando normali.
Non mi interessa qui la miseria della polemica politica
quotidiana che ha perso la dignità minima. Sembrano tutti il Malvolio di La dodicesima notte di
Shakespeare che dice, tronfio, "Su tutti voialtri prenderò la mia
vendetta". Credo si debba uscire dal presentismo che domina il nostro
tempo, che toglie respiro, serietà, credibilità alle parole e ai gesti.
Guardare il mondo e interpretare i segni che ci pervengono. Fu quello che
nell'estate del 1939 non si fu capaci di fare, mentre l'umanità precipitava in
una guerra terribile. Guerra come quella che solo vent'anni prima aveva fatto
diciassette milioni di vittime. Mentre sulle spiagge si prendeva ignari il sole
e nei cuori si inneggiava al duce e al fuhrer, si stava preparando un conflitto
che avrebbe prodotto 68 milioni di morti e la tragedia della Shoah.
Papa Francesco ha parlato più volte, inascoltato, di una terza
guerra mondiale. Per molti nostri coevi la guerra non è un deposito della
storia o un monumento alla memoria. È la vita quotidiana, il dolore quotidiano
in un mondo sordo e cieco. È lo stupore del bambino di Aleppo che seduto in
un'ambulanza si tocca il viso scoprendolo pieno di sangue, è il corpo di Alan
con la sua maglietta rossa sulla spiaggia turca e quello di suo fratello Galip,
cinque anni, inghiottito dal mare. Ma noi, l'Occidente che ha attraversato la
seconda guerra mondiale e l'orrore dei regimi autoritari, dell'hitlerismo e
dello stalinismo, noi dove stiamo andando?
Intervenendo al Festival delle idee di Repubblica, mesi fa, sono
tornato sul paragone con Weimar. Non sono pessimista, non lo sono per
carattere. Ma non voglio assuefarmi alla legge del "politicamente
corretto" per cui si finisce con l'omettere o l'umettare la sostanza delle
proprie ragioni. Guardiamoci intorno. Cito due macrofenomeni: i dazi e la messa
in discussione dell'Europa. Nella storia l'apposizione dei dazi è sempre stata
la premessa per conflitti sanguinosi. Nel tempo della globalizzazione, fenomeno
oggettivo, è impensabile agire lo strumento del protezionismo esasperato. Il
conflitto tra Usa e Cina e tra Usa ed Europa, segnato dalle politiche di Trump,
potrà avere effetti rilevanti sulla distensione internazionale. Ma il secondo
dato è il più grave. Quando Spinelli pensò l'Europa unita, il nostro continente
era in fiamme. È stata la più grande conquista di pace della storia umana, in
questa parte del mondo. Ma ora tutto sta crollando. Logorato prima dalle
timidezze dei governi democratici e ora dalla esplicita volontà antieuropea di
un numero crescente di Stati. La Gran Bretagna è uscita, con il voto degli
inglesi, e il gruppo di Visegrad si propone un'Europa minima, senza principi,
valori, strategie comuni.
Il nostro Paese, fondatore dell'unità europea, improvvisamente
ha come riferimento Orban e la sua "democrazia autoritaria". Un
modello che tende ad affermarsi, dalla Russia alla Turchia. Si fanno strada
regimi che tendono a concentrare nelle mani di pochi il potere, che limitano la
libertà di stampa e di pensiero, che incarcerano gli oppositori. Qui, in
Europa. La "fine della democrazia è sempre possibile", anche in forme
storicamente inedite. Come ai tempi di Weimar, quando la crisi delle
istituzioni e dei partiti, spesso divorati dalla corruzione, si intreccia con
la recessione economica, si genera un bisogno di sicurezza che può essere più
forte del bisogno di libertà.
Il populismo, espressione comoda per indicare una politica che a
questo disagio si rivolge, è, per tutto questo, una definizione sbagliata. È
destra, la peggiore destra. Quella contro la quale un galantuomo come John
McCain ha combattuto fino all'ultimo. Definirla populista è farle un favore.
Chiamiamo le cose con il loro nome. Chi sostiene il sovranismo in una società
globale, chi postula una società chiusa, chi si fa beffe del pensiero degli
altri e lo demonizza, chi anima spiriti guerrieri contro ogni minoranza, chi
mette in discussione il valore della democrazia rappresentativa, altro non fa
che dare voce alle ragioni storiche della destra più estrema.
Altro che populismo. Qualcosa di molto più pericoloso.
Ma ciò che la sinistra, impegnata a dividersi e rimirarsi allo
specchio, non ha capito è che in questi anni è andata avanti una gigantesca
riorganizzazione della intera struttura sociale. Qualcosa di paragonabile agli
effetti della rivoluzione industriale. Il lavoro ha cambiato natura, facendosi
aleatorio e precario. E se la macchina a vapore ha creato l'industria moderna e
con essa le classi sociali e le città, così la nuova rivoluzione tecnologica,
ancora agli inizi, finisce con il sostituire tendenzialmente l'uomo con la
macchina e con il mutare tutti i codici cognitivi e comunicativi. La società è
segnata da una sensazione di precarietà che la domina, che ne mina la fiducia
sociale nel futuro. Non si può pensare che un tempo in cui le famiglie italiane
hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase precrisi, in cui la
differenza tra ricchi e poveri è aumentata, non sia carico di un drammatico
disagio.
Un disagio che fa sì che prevalga la paura sulla speranza. La
società, come un corpo contratto, si ritrae in una posizione orizzontale.
Rifiuta ogni delega, anima della vera democrazia. Non vuole sapere la verità
dai giornali, non accetta il parere degli scienziati, contesta persino
fisicamente professori e medici, nega il valore della competenza politica fino
a mettere in discussione il parlamento, per il quale si ipotizza una estrazione
a sorte dei suoi membri.
Ma la società orizzontale finisce col postulare un potere
verticale. La sinistra non ha capito che quando si è posto, da Calamandrei in
poi, il problema della trasparenza e della velocità della democrazia si cercava
esattamente di rispondere a questo bisogno. In una società veloce una
democrazia lenta e debole finisce con l'essere travolta. Più la democrazia
decide, più resterà la democrazia. Meno decide e più sarà esposta alla
pantomima di questa estate allucinante, con un governo che le spara grosse su
tutto. Che arriva a sequestrare una nave militare italiana in un porto
italiano, a giocare spregiudicatamente la vita di esseri umani per qualche voto
esacerbato. Che minaccia l'Europa con un misto di arroganza e incompetenza. Che
annuncia cose che non può fare, non sa fare, non farà.
Ma nel presentismo assoluto resta nell'aria solo il grido acuto
dell'intemerata. Trump in campagna elettorale disse che, se anche avesse preso
un fucile e fosse andato sulla Quinta strada a sparare, non avrebbe perso un
voto. Temo fosse vero. E così un ministro dell'Interno indagato per abuso
d'ufficio si deve dimettere se è di centrosinistra e uno di destra, indagato
per sequestro di persona, deve restare al suo posto. Non discuto il merito,
noto la differenza. E se un deputato della maggioranza dice, come un vero
fascista, che "se i magistrati attaccano il capo, li andiamo a prendere
casa per casa" nessuno nella stessa maggioranza dice nemmeno poffarbacco.
Ma nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi
errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato e cercato
alleanze organiche o viceversa, senza capire che molti di quei voti sono di elettori
di sinistra. Che molti dei sei milioni di cittadini che avevano votato per il
Pd nel 2008 hanno finito con lo scegliere i pentastellati o sono restati a
casa. Un dolore profondo, un malessere che meritava molto di più delle piccole
risse quotidiane o dei corteggiamenti subalterni. Molti di quegli elettori oggi
sono certamente in sofferenza per il dominio della Lega sul governo e ad essi,
e a chi non ha votato, senza spocchia da maestrino, la sinistra deve
rivolgersi.
Come? Sia chiaro: la crisi della sinistra non è un fenomeno
esclusivamente italiano, è mondiale. Solo Obama, come immaginammo nel 2008, è
restato vivido nella memoria come esempio universale di coerenza programmatica
e valoriale. Ma poi ha vinto Trump. Perché la sinistra o accende un sogno o non
è. Perché la sinistra o è popolo o non è. Ma io non condivido i discorsi che
sento fare sulla fine della sinistra o delle idee dei democratici.
È la sinistra, nella storia, che ha cambiato il mondo. Sono
state le lotte contro lo schiavismo, per la liberazione delle donne, contro
l'alienazione e lo sfruttamento, per i diritti civili e umani, contro le
discriminazioni. È questo sistema di valori che ha reso la vita di ognuno sulla
terra più libera e migliore. La sinistra lo ha saputo fare quando ha parlato al
cuore delle persone, quando ha interpretato i bisogni di giustizia sociale,
quando ha scelto la libertà. Cosa che non ha sempre fatto. Cinquant'anni fa la
sinistra, per come la intendo, era nel sacrificio di IanPalach e non nei carri
armati con la falce e il martello.
Sogno e popolo, ciò che è stato perduto.
Due cose semplici e difficili insieme. Sono più chiaro ancora: o
la sinistra definirà una proposta in grado di assicurare sicurezza sociale nel
tempo della precarietà degli umani o sparirà. O la sinistra la smetterà di
rimpiangere un passato che non tornerà e si preoccuperà di portare in questo
tempo i suoi valori o sparirà. O la sinistra immaginerà nuove forme di
partecipazione popolare alla decisione pubblica, una nuova stagione della diffusione
della democrazia, o prevarranno i modelli autoritari. Nelle future esperienze
di governo della sinistra ci dovrà essere una più marcata radicalità di
innovazione. Allo stesso tempo, la sinistra non deve dimenticare chi è, ne deve
anzi avere orgoglio. Non sarà inseguendo la destra o, in questo caso, il
populismo che si eviterà il peggio. La sinistra non può avere paura di dire che
è per una società dell'accoglienza, dire che è nella sua natura - oltre che in
quella che dell'essere umano - la solidarietà, la condivisione del dolore,
l'aiuto nel bisogno. La sinistra non deve aver paura di dire che non si deve
mai deflettere dal rigoroso presidio della sicurezza dei cittadini imponendo a
tutti il rispetto delle regole che ci siamo dati.
La sinistra non deve inseguire nessuno sul tema dell'Europa
immaginandone una versione bonsai ma, al contrario, deve rilanciare con forza
l'idea degli Stati Uniti d'Europa, meravigliosa utopia realizzabile. Deve
riscoprire, dopo averlo dimenticato, il tema dello sviluppo compatibile, vera
incognita sul futuro della specie umana. E non deve assuefarsi alla barbarie
del linguaggio semplificato, della rissa permanente, dell'insulto
all'avversario. Anche in questo deve essere se stessa, non fare come Zelig.
Deve coltivare la scuola, la ricerca, la cultura, l'identità profonda di un
Paese che è sempre stato aperto al mondo. Non deve aver paura di unire anche
quando la diffusione dell'odio sembra prevalere. Deve innovare la sua identità
e avere rispetto della sua storia. Si possono, ed è giusto, sostituire
generazioni di dirigenti. Io mi sono presto fatto da parte per mia scelta e ho
iniziato una nuova vita, come era corretto facessi.
Ma non è giusto cancellare la storia collettiva, le battaglie, i
sacrifici, il senso di quella cosa enorme che nella storia italiana è stata la
sinistra, è stato il pensiero democratico. Ha scritto, sul tema della memoria,
il priore di Bose Enzo Bianchi: "Per ogni cultura, la memoria dei momenti
e delle forze che l'hanno generata è essenziale; è proprio nella memoria degli
eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore".
Un esempio: la parola rottamazione fu usata, la prima volta, da
Berlusconi in tv per attaccare Romano Prodi. Non è una nostra parola, figlia
della nostra cultura. Neanche gli avversari si "rottamano", perché un
essere umano e le sue idee non sono mai da cancellare, se espresse per e con la
libertà.
Quando - è successo varie volte - in Italia si sono prese
sbandate per il demagogo di turno, alla sinistra democratica è toccato poi
salvare il Paese. Per essere all'altezza di questa responsabilità la sinistra e
i democratici devono unirsi e smetterla con la prassi esasperante delle
divisioni e delle scissioni testimoniali. Anche quella è un'abitudine spesso
coincisa con tragiche sconfitte. Il Pd che io immaginavo è durato pochi mesi,
raggiunse il 34 per cento in condizioni terribili e si trovò, orgoglioso e
emozionato, in un Circo Massimo oggi inimmaginabile per chiunque. Era l'idea di
un partito orizzontale, fatto di cittadini e movimenti, di associazioni e
autonome organizzazioni. Un partito a vocazione maggioritaria perché aperto,
che usava le primarie come cemento per unire questo arcobaleno. Il contrario di
un "partito liquido", come poi si è purtroppo rivelato essere, per
paradosso, quando ha prevalso il rimpianto per forme partito che non sono più
date in questo tempo. Quel partito è stato in questi anni, per responsabilità
di tutti, dominato dalle correnti e dai gruppi organizzati e il suo spazio
vitale si è ristretto, come la stanza del funzionario Rai di La Terrazza di
Ettore Scola. Quei muri vanno tirati giù e il Pd deve apparire un luogo aperto,
plurale, fondato sui valori e non sul potere. Bisogna inventare una forma
originale di movimento politico del nuovo millennio.
Forse quella idea era sbagliata, forse troppo avanti. Ne ho
preso atto, credo con misura, senza cessare mai di dare una mano alle ragioni che
hanno ispirato la mia vita.
Per questo ho scritto oggi. Perché non smetto di credere alla
sinistra, perché temo per il futuro della vita democratica e dell'Europa,
perché penso che l'idea di un soggetto politico aperto del campo democratico
sia più che mai necessaria. Nessuno perda tempo a strologare sulla ragione di
questo scritto. È solo amore per la propria comunità e per il proprio Paese. Tutto
qui.
»
Walter Veltroni
1 commento:
CARO GABRIELE,
ho letto con attenzione il tuo scritto e devo dirti che sono rimasto considerevolmente meravigliato della tua analisi sulla crisi della sinistra. Non sono d'accordo sul fatto che le responsabilità sono solo del Partito Democratico.
Condivido solo in parte le tue esternazioni ma nello stesso tempo mi chiedo e ti chiedo non hai forse contribuito anche tu alla accelerazione di questa crisi allorquando con atteggiamento disinvolto hai contribuito a sostituire una maggioranza democraticamente eletta con un'altra della quale fanno parte figuri che avevi combattuto durante le elezioni?
E non è forse vero che alla crisi della sinistra ha contribuito anche quella destra che tu hai sostenuto per anni? E non è forse vero che la crisi della sinistra è coincisa con la crisi di una società che ha perduto tutti i valori? E non è forse vero che questa società ritiene la sicurezza il solo principio essenziale per la democrazia? Si, anche io come te, non sono disponibile a farmi sopraffare dalle logiche dell'egoismo e della paura. Certo non è colpa della sinistra se vige questa logica, se questa società si è sempre più chiusa, se ciascuno pensa solo al proprio io. Sono d'accordo con te quando sostieni che neanche gli avversari si rottamano ma il primo a usare questa orribile parola fu proprio Berlusconi che voleva rottamare Romano PRODI è proprio quel Berlusconi che tu hai sostenuto per anni. Lo stesso SALVINI che tu non condividi è figlio della destra o mi sbaglio? Lo stesso SALVINI ed il suo partito sono stati per lunghi lustri stampelle della destra che tu hai sostenuto o mi sbaglio? Caro GABRIELE,
“ Nella SOCIETA' APERTA dalle navi si scende,con ordine, ma si scende;
Nella SOCIETA' APERTA le leggi non si violano affinchè il clamore si trasformi in consenso e se proprio queste leggi non piacciono ci si prende la responsabilità di cambiarle;
Nella SOCIETA' APERTA non ci si difende dalle paure tirandosi le porte sul muso;
Nella SOCIETA' APERTA chi produce o ha bisogno di aiuto sa che due braccia producono o aiutano il doppio di quanto consuma la bocca;
Nella SOCIETA' APERTA si combattono colpo su colpo i nemici, perchè si sa “che agli uomini il bene bisogna, il più delle volte, farlo per forza”;
Nella SOCIETA' APERTA anche un conservatore come JOHN McCAIN fa questo meraviglioso discorso.”
Si. caro Gabriele anche un vecchio, si vecchio, democratico di sinistra dopo le tue esternazioni ha deciso di dare ancora qualcosa per arginare il populismo che pervade la nostra società; ed insieme ai giovani democratici di sinistra ha deciso dopo le tue esternazioni di impegnarsi ancora di più perchè questa nostra società non diventi sempre più populista e sovranista.
Dare la colpa della crisi della sinistra al solo Partito Democratico è semplicemente riduttivo. “ Ti saluto
Vittorio Madama
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