Ho votato Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 2008 ed ho già avuto modo di manifestare più volte, nel corso degli ultimi anni, la mia delusione per quella scelta.
Mi sorprende allora questo ritorno di popolarità del “Cavaliere”: ingiustificato (a mio modesto avviso), sul piano dei fatti politici che Egli stesso, con una maggioranza schiacciante nei due rami del Parlamento, ha determinato.
Già nello scorso mese di settembre ho scritto - sul primo numero di “M’impegno”, il mio periodico informativo su carta stampata - che non so se deciderò di candidarmi alle prossime elezioni comunali latianesi. Certo è che, fino all’ultimo giorno del mio mandato di pubblica rappresentanza, avverto il dovere di espormi: di dire la mia, in coerenza con la mia storia e con la mia educazione; di rendere partecipi, i miei concittadini, del mio modo di vedere le cose. Anche a costo di pagare, talvolta, il prezzo della impopolarità o di perdere per strada qualche comoda frequentazione.
Ciò vale sia per le questioni politiche locali, sia per quelle di rilevanza più generale.
Ammetto quindi che mi accosto a questa campagna elettorale con il residuale entusiasmo che produce un sistema elettorale che sottrae ai cittadini la prerogativa di scegliersi i propri Parlamentari, con l’ansia che le urne costringano il Paese all’ingovernabilità, con lo spirito di responsabilità che induce a testimoniare la propria appartenenza, con l’onestà intellettuale di chi ammette di sforzarsi di scorgere - “oltre” - scenari nuovi e più chiari in cui contestualizzare le energie future.
Per tutte queste ragioni - e con la rammaricata constatazione dell’occasione perduta, dai riformisti del Pdl, per lanciare il cuore oltre l’ingombrante ostacolo e per rendersi disponibili, con coraggio, senza protezioni, alla costruzione di una moderna alleanza popolare che avrebbe sovvertito anche i vetusti steccati della destra e della sinistra - intendo condividere, con i pazienti lettori del mio blog, un commento di Roberto Saviano, pubblicato lo scorso 18 gennaio da “Repubblica”.
Confesso che, pur rispettando le ragioni di fondo della sua “militanza” contro la criminalità organizzata, raramente mi sono ritrovato nello stile e nelle conclusioni di Saviano; questa volta, invece, in ampia parte approvo ciò che ha scritto, e che testualmente riporto qui di seguito, anche perché ritengo che possa agevolare una riflessione su chi siamo noi italiani e su cosa davvero vogliamo dalla politica.
La cosa sorprendente di questa campagna elettorale è che l'ex primo ministro, lo stesso che ha avuto a disposizione decenni di comunicazione televisiva e giornalistica, oggi torna a pretendere e ottenere un pulpito. E da esso conquisti anche larga audience. Accade poi che, grazie a quel pulpito, sembra guadagnare come decorazioni al merito, un'immagine nuova, diversa, svecchiata. Quella che doveva apparire come la più logora e stantia delle proposte politiche, d'improvviso sembra diventare, per un trucco mediatico, il nuovo che attrae. Lo si segue in televisione, si cliccano i video delle sue interviste, si resta lì, incollati allo schermo, ipnotizzati, invece di cambiare canale, per decenza.
Ci dovrebbe essere un unanime "ancora lui, basta" e invece no. E ciò che tutti un anno fa credevamo sarebbe stata l'unica reazione possibile alla incredibile ricomparsa sulla scena politica di Silvio Berlusconi non si sta verificando. Una certa indignazione - naturalmente - talvolta una presa di distanza, ma non rifiuto, non rigetto.
Quando Berlusconi va in tv sa esattamente cosa fare: la verità è l'ultimo dei suoi problemi, il giudizio sui suoi governi, il disastro economico, le leggi ad personam, i fatti - insomma - possono essere tranquillamente aggirati anche grazie all'inconsapevolezza dei suoi interlocutori. Il Cavaliere mette su sipari, sceneggiate, battutine. È smaliziato, non ha paura di dire fesserie, non ha paura di essere insultato, di cadere in luoghi comuni, di ripetere storielle false sulle quali è già stato smascherato. Occupa la scena. E c'è chi cade nel tranello: questo trucco da prim'attore, incredibilmente, ancora una volta crea una sorta di strana empatia, di immedesimazione. C'è chi dice: sarà anche un buffone, ma meglio lui dei sedicenti buoni.
E allora sedie spolverate, segni delle manette, lavagnette in testa. Torna lui, lui che ci ha ridotti sul lastrico, lui che ha candidato chiunque, lui che ha detto tutto e il contrario di tutto ed è stato smentito mille volte. Eppure quei pulpiti diventano per lui nuove possibilità di partenza: chi vuole ostacolare questo processo già visto e già vissuto dovrebbe evitare di fare il suo gioco, di prestarsi al ruolo di spalla - come al teatro - dovrebbe impedirgli di montare e smontare sipari.
Più Berlusconi va in tv, più dileggia chi gli sta di fronte, più piace. Perché sa disinnescare chi lo intervista. Non ha paura, anzi sembra divertito dalla paura degli altri. Sente l'odore del sangue dei suoi avversari e attacca. In una competizione in genere vince chi non ha nulla da perdere e lui, screditato sul piano nazionale, internazionale, politico e personale; con processi pendenti che riguardano le sue aziende e le sue abitudini privatissime; con l'impero economico che cola a picco, è l'unico vero soggetto che da questa situazione non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare. E se la sta giocando fino in fondo. Appunto, giocando. È divertito, esaltato.
Più Berlusconi va in tv, più dileggia chi gli sta di fronte, più piace. Perché sa disinnescare chi lo intervista. Non ha paura, anzi sembra divertito dalla paura degli altri. Sente l'odore del sangue dei suoi avversari e attacca. In una competizione in genere vince chi non ha nulla da perdere e lui, screditato sul piano nazionale, internazionale, politico e personale; con processi pendenti che riguardano le sue aziende e le sue abitudini privatissime; con l'impero economico che cola a picco, è l'unico vero soggetto che da questa situazione non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare. E se la sta giocando fino in fondo. Appunto, giocando. È divertito, esaltato.
Berlusconi non può più essere considerato un interlocutore, chi lo fa gli dà la possibilità di mentire laddove i fatti lo hanno già condannato. Fatti politici, ancor prima che giudiziari. Più lo si fa parlare, più lo si aiuta, più si asseconda la sua pretesa alla presenza perenne, all'onnipresenza televisiva come fosse un diritto da garantire a un candidato, cosa che non è. E tutto come se prima di questo momento non avesse mai avuto la possibilità di farci conoscere le sue idee e i suoi programmi. Come se non avesse avuto modo di esprimersi, da primo ministro, sui temi che oggi sta affrontando spacciandosi da outsider, da nuovo che avanza, da nuovo che sgomita e lotta per riconquistare lo spazio che gli è dovuto. Ha avuto una maggioranza che gli avrebbe consentito di poter modificare le leve e cambiare tutto. E non lo ha fatto. Ha solo legittimato quel "liberi tutti" fatto di evasione e deresponsabilizzazione che ha reso il nostro paese un paese povero. Povero di infrastrutture, povero di risorse, povero di speranza e invivibile per la maggior parte degli italiani. Anche per chi Berlusconi lo ha votato, anche per chi in lui si è riconosciuto.
E allora smettiamola di prenderlo sul serio, smettiamola di ridere alle sue battute per tremare poi all'idea che possa riconquistare terreno. Trattiamolo piuttosto per quello che è: un bambino di settantasei anni. Quando i bambini esagerano con le parolacce, con i capricci, i genitori li ignorano, fingono di non aver sentito. È l'unico modo perché il bambino perda il gusto della provocazione. La stessa cosa dovremmo fare con lui: farlo parlare, ma senza prestargli attenzione. Evitiamo i sorrisi alle sue battute stantie, perché non possa più ostentare sicurezza davanti ai suoi, perché non possa più spacciare la falsa tesi secondo cui i politici sono tutti uguali. Non sarò mai per la censura: Berlusconi ovviamente deve parlare in tv - certo dovrebbe farlo nelle regole sempre infrante della par condicio - come tutti i leader delle coalizioni. Siamo noi che dobbiamo smetterla di giocare con lui. Lasciamolo senza platea.
Roberto Saviano
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