Un bell'articolo di Erri De Luca, pubblicato ieri dal Corriere della Sera, mi ha suscitato le seguenti considerazioni.
Dallo scorso 5 agosto trentatrè lavoratori sono intrappolati a 700 metri di profondità in una miniera franata a San Josè, in Cile.
Fino a domenica scorsa questi uomini erano dati ormai per morti.
Poi la scoperta che avevano resistito, l'invio di soccorsi (cibo, acqua, farmaci) fatti passare attraverso stretti condotti, la comunicazione con le famiglie grazie ai mezzi che offre oggi la tecnologia.
Per far uscire quei minatori ci vorrà ancora molto tempo: chi è impegnato negli scavi parla di circa quattro mesi.
Venerdì scorso, con una piccola telecamera inviata in profondità dai soccorritori, i trentatrè prigionieri della miniera hanno realizzato un video di 45 minuti, trasmesso in parte dalla televisione nazionale cilena, nel quale anzitutto assicurano: "qui ci siamo organizzati bene" ed indicano gli spazi che hanno riservato per mangiare, per pregare, per lavarsi e perfino per giocare a domino, nel piccolo rifugio che ha salvato loro la vita e che continua a proteggerli. Tutto è diviso in parti uguali. Nell'emergenza la specie umana sa benissimo il da farsi e come. Sa "condividere": "compartir", in lingua ispanica.
Solo così quegli astronauti al contrario potranno rivedere la luce.
Il dramma dei trentatrè minatori di San Josè ricorda quelli vissuti da tanti nostri connazionali che sin dall'ultimo dopoguerra sono emigrati per offrire il loro destino ad un lavoro d'azzardo, infilati in bui cunicoli a grattare preziosi minerali.
Ricordiamo, tra tutte, la tragedia di Marcinelle, in Belgio, dove l'8 agosto 1956 persero la vita 262 uomini, 136 dei quali italiani.
Oggi il dramma è vissuto in una cornice da reality (anche se ciò non attenua le dimensioni e l'intensità della tragedia), con queste ennesime vittime di un lavoro disumano che tranquillizzano le famiglie, ostentano patriottismo filmandosi mentre cantano l'inno nazionale, richiamano in tutti noi il concetto primordiale del "compartir" come monito ad una umanità che spesso dimentica le regole fondamentali per conservarsi e per progredire.