mercoledì 4 gennaio 2012

Ferrovie: metafora di un Paese confuso.

Riporto qui di seguito, da www.lagazzettadelmezzogiorno.it, la testimonianza di un concittadino latianese, che credo rappresenti concretamente sia l’incapacità della classe politica nazionale ad immedesimarsi nelle problematiche più comuni delle famiglie italiane, sia l’insensibilità, di quella stessa classe politica, di fronte ad un distacco sempre più accentuato tra nord e sud del Paese: è un dato di fatto, emblematico della situazione, che oggi Latiano e Como siano più “lontani” rispetto a dieci anni addietro.
Intanto anche il Presidente di una Provincia del Sud  - il Presidente della nostra Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese -  di fronte a questa situazione si vede addirittura costretto a “gridare” il suo forte dissenso dalle finestre della sede della Istituzione che rappresenta: dallo scorso 30 dicembre, infatti, da un balcone del Palazzo della Provincia è esposto un grande striscione che riporta la scritta “La Puglia non è un binario morto. Ridateci i treni!”. «L’auspicio  - ha affermato il Presidente Massimo Ferrarese in un suo comunicato stampa -  è che anche tante altre Istituzioni pugliesi assumano iniziative per dar vita ad una imponente mobilitazione generale finalizzata a mettere riparo alle forti penalizzazioni subite dai nostri cittadini nel trasporto ferroviario».    

Viaggio Brindisi - Milano. La Gazzetta ha svolto un compito importante di informazione e sensibilizzazione sulla questione della soppressione dei treni notturni, a partire dallo scorso 11 dicembre. 
Le implicazioni di quella decisione sono state drammatiche per i lavoratori  - che hanno perso il lavoro -  e per gli utenti, che hanno perso i collegamenti diretti e i costi contenuti del trasporto universale. 
Nell’ambito dei servizi pubblici, credo sia un caso più unico che raro di incremento così rilevante dei costi a fronte di un così netto peggioramento della qualità. Una decisione indegna di un paese civile, perpetrata contro i lavoratori, contro gli utenti, contro il servizio, contro il principio di mobilità, contro l’unità del paese. 
Mi chiedo come mai una decisione così spudorata non abbia sollevato una indignazione adeguata nel mondo politico, che dovrebbe rappresentare i bisogni dei cittadini e dare ad essi le risposte possibili.
Vuol dire che il trasporto pubblico non rientra nei compiti della politica? Non credo, dal momento che il diritto alla mobilità è addirittura un diritto costituzionale.
Probabilmente c’è stata una sottovalutazione del disagio a cui i viaggiatori devono sottoporsi per raggiungere dal sud le città del nord e viceversa. Intendo i viaggiatori che per ragioni di lavoro, di tempo o semplice preferenza scelgono i treni notturni. 
Vediamo di spiegarlo meglio: 
prima dell’11 dicembre era rimasto un unico treno da Brindisi a Milano: Brindisi 20.21, Milano 7.10, durata: 10 h e 49 minuti, costo: 59 euro (+ eventuale cuccetta). 
Vediamo cosa accade adesso: 
Oggi il costo minimo è di 92 euro (+ cuccetta) e la durata quasi sempre maggiore, nonostante l’enfasi data all’alta velocità. 
Più in dettaglio, per arrivare a Milano intorno alle 7, in tempo per recarsi al lavoro, l’unico modo possibile è il treno delle 17,14 per Roma, con durata di 13h,41’ e costo in seconda classe di 106 euro ( + eventuale cuccetta). 
I treni con cambio a Bologna hanno tempi di percorrenza analoghi o poco superiori, ma attese a Bologna troppo lunghe, che diventano più lunghe se il viaggiatore decide di risparmiare i 42 euro a testa necessari per pagare un biglietto Freccia Rossa per la tratta Bologna – Milano, una cifra corrispondente a quello che fino a due o tre anni fa era il prezzo dell’intera tratta Brindisi Milano. 
Facciamo il caso della mia famiglia, di 4 persone. Siamo partiti la sera del 1 gennaio per ritornare a Milano dopo le vacanze natalizie trascorse (come fanno tanti) nel paese di origine. Avendo speso quasi 300 euro complessive per la tratta Brindisi- Bologna, abbiamo pensato che potevamo risparmiare sulla tratta Bologna- Milano. Abbiamo rinunciato al Freccia Rossa delle 9.10 che sarebbe costato 168 euro (42 x4) e optato per il rapido delle 9,46, che ci ha portato a Milano alle 12,10: una decisione forse irrazionale per chi non ha problemi di budget, ma che sarebbe approvata da un buon numero di viaggiatori, almeno da quelli che condividono uno stipendio da impiegato. 
Alla fine abbiamo impiegato 12h,20’ da Brindisi a Milano, mentre per raggiungere Como ci sono volute altre 2h,20’, anche a causa della soppressione di alcuni treni delle Ferrovie Nord. 
Siamo usciti dalla casa di mia madre (in provincia di Brindisi) alle 23 del 1 gennaio per entrare in casa nostra, a Como, alle 15 del 2 gennaio. E pensare che non più di una decina di anni fa c’era un treno (credo diretto a Stoccarda) che da Brindisi fermava direttamente a Como. 
C’è un’idea vaga di questi spaccati di vita nella testa dei nostri rappresentanti e amministratori? La forma privatistica della gestione di Trenitalia non può esonerare la classe politica ad assumere questo problema come prioritario, specie quando questa gestione si rivela così dissennata. 
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i trasporti sono materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni (art. 117 Cost.). I consiglieri e gli assessori regionali sono dunque chiamati in causa direttamente, per il mandato che hanno ricevuto e per le funzioni loro attribuite dalla Legge fondamentale dello Stato.
Se la campagna della Gazzetta  - compresi i contributi resi liberamente dagli utenti (come nel mio caso) -  non è bastata a rendere l’idea, i consiglieri regionali potrebbero  - tutti insieme -  decidere di fare un viaggio analogo a quello che ho descritto in questo mio amaro resoconto. 
Forse il Paese andrebbe meglio se le condizioni di chi amministra  - almeno per un giorno -  potessero coincidere con quelle di chi è amministrato. 
F.to Gianni Pizzi (Biblioteca Centrale di Milano) 

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